Lavorare può dare molte gratificazioni: ci fa sentire competenti, stimolati, curiosi; se poi abbiamo l’occasione di collaborare con un gruppo di colleghi e superiori funzionale, l’energia che se ne ricava è ancora maggiore. Come sosteneva Marx, il lavoro inteso come espansione creativa della personalità può essere l’occasione per esprimere al meglio la propria natura umana.
A volte però i compiti da svolgere sono pesanti, complicati, ci si sente incapaci, stretti o sovraccaricati. Una cosa che forse non ricordiamo è che, spesso, una (grossa) parte del “peso” è data dalla qualità del clima organizzativo, ossia dalle relazioni in cui siamo immersi.
Ogni volta che entriamo in un ambiente di lavoro ci immettiamo in un insieme di relazioni già strutturate e complesse, a volte difficili da capire. Le regole possono essere esplicite, spesso però sono tacite, agite con poca consapevolezza… Anche se è inevitabile che sia così, che ci siano delle trame sotterranee, inconsce, bisogna prestarci attenzione, perché il rischio è di rimanere fagocitati dentro un sistema che ci spinge ad aderire a dei ruoli un po’ scomodi, se non addirittura patogeni.
COSA TROVERETE IN QUESTO ARTICOLO
In questo articolo non intendo parlare di mobbing: quest’argomento richiederebbe uno spazio a sé e, francamente, penso che ci siano già molti altri colleghi più esperti di me in materia.
L’argomento di cui si parlerà qui, invece, riguarda i sottili “GIOCHI RELAZIONALI“, ossia quelle modalità interattive inconsapevoli che si costruiscono nella storia delle relazioni in un contesto lavorativo e influenzano notevolmente sia il benessere del lavoratore sia la qualità dell’attività lavorativa. Questo tema è particolarmente importate per le persone che lavorano in gruppo, come le equipe o i lavori di squadra, ma interessa praticamente tutti.
Vi illustrerò in cosa consistono i giochi relazionali, quali sono i tipi più comuni, come riconoscerli e come poterli attraversare in maniera fruttuosa…. sopravvivendo in primis, e magari anche trasformandoli in una forma utile!
COSA E’ UN “GIOCO RELAZIONALE”?
Un gioco relazionale è un copione interiorizzato, un canovaccio su cosa ci si aspetta che accadrà nel film della nostra vita attuale. Nasce nella storia di una relazione, ma poi diviene automatico, non consapevole, agendo sui pensieri e le azioni che mettiamo in atto. Se i giochi rimangono flessibili e le regole del gioco sono esplicite, allora non sono disfunzionali ed è possibile lavorare bene in gruppo. Se invece i giochi si fanno ripetitivi e le regole sono per lo più tacite (implicite), aumenta il rischio di una vera e propria crisi nell’organizzazione.
Il gioco relazionale di per sé non è un problema, lo diventa quando le “regole del gioco” sono poco chiare.
Ci si trova dentro situazioni ripetitive che creano disagio senza capirne il motivo, o si reagisce in modo automatico, con la sensazione di avere poco controllo sui nostri pensieri e comportamenti. Tutto questo blocca il buon funzionamento complessivo, crea stagnazione o involuzione, invece che crescita.
RICONOSCERE UN “GIOCO RELAZIONALE” MALSANO
Vediamo adesso alcuni esempi di “giochi” a cui possiamo aver preso parte o che vediamo nei nostri colleghi:
PSEUDOMUTUALITA’: “vogliamoci bene!”, è il desiderio intenso e illusorio di essere tutti in sintonia e di ricevere approvazione dagli altri; in pratica, siamo incapaci di tollerare le differenze o ingaggiarci in una discussione (potenzialmente costruttiva). Si parla, ma non c’è una vera comunicazione; ogni volta che qualcuno avanza una nuova proposta viene criticato, ostacolato o tacciato come minaccioso per il sistema.
SCHISMOGENESI: è l’opposto della prima, qui le differenze vengono amplificate; se Marco è d’accordo con il progetto, allora io dico che fa schifo, più lui sarà a favore più io diventerò “bastian contrario”, e viceversa, in una escalation simmetrica. Il confronto tra posizioni diverse è positivo, può portare ad una crescita; se però la discussione diventa “fine a sé stessa”, perdiamo ogni potenziale costruttivo e rimaniamo fermi, se non addirittura a rischio di scissione.
TRIANGOLAZIONE: avviene quando due persone in conflitto, anziché gestire “fra di loro” il problema, “tirano dentro” un terzo per dirimere le loro dinamiche, per esempio chiedendogli di “recapitare i messaggi” quando i due non si parlano più, o facendolo diventare “alleato” di uno nella lotta contro l’altro. Esempio: un capo-area è in rotta di collisione coi suoi superiori, ogni volta che parla di loro con i suoi operai ne sottolinea le manchevolezze, implicitamente chiedendo agli operai di allearsi con lui nella rivalsa contro i capi. In famiglia (esempio molto comune): la moglie sente di essere poco valorizzata dal marito, con cui è arrabbiata; ogni volta che parla di lui col figlio o si trovano tutti e tre insieme, svaluta apertamente la figura del marito (“tuo padre non capisce niente”, “non gli importa di te”), subdolamente cercando nel figlio un alleato….
SQUALIFICA: a differenza di una svalutazione (in cui esprimo apertamente delle critiche su un’altra persona), con la squalifica mando il messaggio “Tu per me non esisti!”. Esempi sono: contraddire continuamente o cambiare argomento tutte le volte che Giorgia prova a esprimere il suo punto di vista, fraintendere sempre, parlare con uno stile oscuro poco comprensibile. E’ una lotta ad armi impari, perché la vittima della squalifica non ha un terreno su cui combattere, non ci sono degli argomenti di discussione, ogni risentimento viene negato e i messaggi sono impliciti. Ci si sente impotenti e non riconosciuti….. può fare davvero male e, se usata contro persone psichicamente fragili, segnerà un colpo davvero duro nell’autostima, proprio perché il destinatario della squalifica fatica anche solo a rendersi conto di essere nel bel mezzo di un gioco relazionale perverso.
DOPPIO LEGAME: è un modo di comunicare che crea molta confusione perché nello stesso momento vengono veicolati due messaggi contraddittori, di cui uno nega l’altro.; chi li riceve non sa a quale dare priorità, rimanendo con la sensazione di “ogni cosa che faccio è sbagliata”. Per esempio, un capo loda pubblicamente un suo collaboratore, di cui però non si fida; apparentemente lo apprezza, però non usa mai i compiti che gli assegna….. Esempio 2: un leader dichiara di essere favorevole alla creatività e la libera iniziativa, però ogni volta che qualcuno fa una proposta viene criticato e sabotato.
RICONOSCIAMO DI ESSERE FINITI IN UN GIOCO RELAZIONALE, COSA FARE?
E’ importante innanzitutto decentrarsi, uscire dall’ottica che ci ha dominati fino a questo momento, “tirare il fiato”. Quindi, occorre dialogare, comprendere e far comprendere le aspettative delle varie persone coinvolte e le spiegazioni che ciascuno si è dato del problema emerso.
Per fare ciò, è necessario mettersi in gioco come parte del sistema – non come un semplice osservatore esterno (o come la sola parte lesa). Concretamente, ciò significa domandarsi:
- Cosa si aspettano da me? Cosa mi viene chiesto?
- Le varie persone coinvolte, come vedono il problema?
- Chi dà importanza al problema presentato, chi invece lo squalifica o ignora?
- C’è qualcun altro che partecipa al ‘gioco relazionale’ dove siamo implicati?
- Cosa abbiamo fatto fino ad ora per modificare la situazione?
- Cosa potremmo fare?
Insieme a tutto questo, dovremmo sforzarci di rispettare il punto di vista dei colleghi, la loro differente formazione, ruolo e linguaggio (anche se a volte può essere faticoso).
Quando ci si sente feriti si tende a vedere solo il negativo e a reagire in modo automatico (portando avanti il gioco perverso che ci fa soffrire). Sforzarsi di guardare anche alle risorse, di percepire le similitudini tra noi e gli altri, riconoscendo il rapporto fra emotività e azione, ci aiuta a ritrovare la nostra capacità di azione, la nostra efficacia, fuori dall’ingaggio di pressioni emotive inconsapevoli, avendo ben a fuoco quale è la nostra posizione nella danza relazionale.
Non diamo per scontato che “le cose andranno sempre così”. Certo, a volte è più utile smettere di insistere, per evitare un dispendio di energie inutile; ma molte altre volte è la visione pessimista lineare che mantiene le relazioni in una condizione di stallo. Rendersi conto del “qualcosa che non va” e provare ad esprimerlo, rispettando l’altro (senza “vomitarglielo addosso”!), può fornire delle sorprese positive.
Infine…..
“It takes two to tango“
Spesso i ruoli in questi giochi sono complementari: riconoscere la propria parte nel dare vita e mantenere il problema è fondamentale, non per una stupida colpevolizzazione (che anzi, è deleteria), ma per assumersi la responsabilità del processo e poterlo quindi “agire” in prima persona, anziché subirlo passivamente.
A volte riconoscere queste parti è doloroso perché possiamo imbatterci in “vecchi temi” già incontrati lungo il sentiero delle nostre relazioni. Ancora una volta, a me piace vedere il bicchiere mezzo pieno, insieme a quello vuoto: se dovesse capitare, vuol dire che abbiamo trovato il “Filo di Arianna” che per diverso tempo avevamo perduto…. e proprio quel filo ci potrà condurre verso l’uscita dal Labirinto.